Un brano, più degli altri, mi ha particolarmente colpito delle parole dell'omelia del papa di domenica 20 giugno.
Qui ci viene fornita un’indicazione ben precisa per la vita e la missione del sacerdote: nella preghiera egli è chiamato a riscoprire il volto sempre nuovo del suo Signore e il contenuto più autentico della sua missione. Solamente chi ha un rapporto intimo con il Signore viene afferrato da Lui, può portarlo agli altri, può essere inviato. Si tratta di un «rimanere con Lui» che deve accompagnare sempre l’esercizio del ministero sacerdotale; deve esserne la parte centrale, anche e soprattutto nei momenti difficili, quando sembra che le «cose da fare» debbano avere la priorità. Ovunque siamo, qualunque cosa facciamo, dobbiamo sempre «rimanere con Lui».
Le parole di Benedetto XVI, pur essendo rivolte (vista l'occasione in cui sono state pronunciate) ai sacerdoti, credo siano molto adatte anche per noi laici. Quante volte ci facciamo in quattro per gli altri? Lavoriamo, lavoriamo, ma non ci accorgiamo che prima o poi le nostre energie verranno meno se non ci abbevereremo alla fonte di Cristo. Rischiamo di rendere arido il nostro agire e di perdere il riferimento. In uno stile di vita dove tutto è pressocché programmato, dove ogni cosa ha un orario stabilito, una collocazione temporale precisa, dove la fretta ci tallona, dobbiamo a tutti i costi mettere in agenda di passare dall'ufficio del "capo" a prendere ordini. Ascoltare in silenzio, senza tediarlo con i nostri problemi, con le nostre opinioni e suggerimenti. Ascoltare e basta. Rinfrancarsi al suo sorriso, rincuorarci con la sua sicurezza, prendere una bella pacca sulla spalla e sentirsi pronti per ripartire.

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