Ogni volta che provo ad indossare quegli anfibi

La saggezza indiana suggerisce: "Prima di giudicare un uomo, cammina tre lune nelle sue scarpe".
Da genitore, quale sono, ho provato a mettermi gli anfibi del babbo del militare ucciso qualche giorno fa in Afghanistan. Un figlio morto in una zona di guerra (morto in guerra?) durante una di quelle che vengono chiamate operazioni di pace per il ripristino della democrazia. Operare affinché un paese possa rinascere, crescere, migliorare e possa diventare un "bel posto dove vivere" per tutti i suoi abitanti è senz'altro un ideale molto nobile.
Chi dedica la sua vita a fare in modo che quella degli altri risulti migliore, è una persona encomiabile. Che lo faccia perché crede in Cristo e nel suo messaggio o che lo faccia perché ama il suo fratello e pensa che sia giusto comportarsi così, poco importa.
Però, ogni volta che apprendo di militari uccisi, un dubbio mi arrovella. E allora, come dicevo all'inizio, provo a mettermi dalla parte di ha scelto di indossare la tuta mimetica, l'elmetto e di imbracciare un fucile (sì, perché comunque, ad ognuno viene data un'arma, piccola o grande che sia). Ci penso, sento voci di giovani che devono sposarsi ed hanno bisogno di qualche soldo per l'acquisto della casa. Testimonianze di giovani padri che non disdegnano qualche euro in più per offrire alle proprie mogli e figli.  Sono valide motivazioni? Mi viene voglia di asserire con decisione: NO! Non lo sono. E' giusto che lo stato italiano solletichi i nostri giovani militari con guadagni extra? Ricevere per 3/4 mesi 150 euro in più al giorno, sicuramente può far gola. In una società tutta tesa al benessere, al consumo, all'apparire, cosa significa uno stipendio mensile che da 1.500 euro balza a 6.000?
Sono cattivo se penso che i governi "adescano" in questa maniera coloro che indossano la divisa dell'esercito? Comunque sia, c'ho riflettuto: io, come genitore, come padre di un militare (che sia in missione o che non lo sia) mi sentirei di aver perso una battaglia. (non la guerra... ma una battaglia... quella sì) 

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